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Se la stronzata diventa post-verità...

Tu che leggi gli articoli sui social, tu che decidi se indignarti o meno in base al titolo del pezzo e poi non ti degni di leggerlo perché sei troppo impegnato a condividerlo. Tu che adesso fai il mezzo sorrisetto perché ti senti superiore alla zia che crede alle scie chimiche. Tu che ti informi, e tu che ti senti una persona impegnata perché leggi Internazionale, e anche tu che non credi a nulla, ma proprio a nulla, tranne che a “quello che i media non ti dicono”: questo è il primo post di un blog che ti detesta.

“Ma chi t’ha chiesto nulla?” potresti chiedermi. Potresti addirittura osare un “Ma chi ti credi di essere?”. Sarebbe maleducato ma io ti rispondo.

L’Oxford Dictionary of English proprio ieri ha votato la parola dell’anno, ammazzando nuovamente le speranze di tutti noi tifosi della parola patafisica. La scelta di quest’anno è caduta su post-truth, ma noi scarsi parlatori della lingua di Shakespeare, per evitare di sputacchiarci l’un l’altro, faremmo meglio a dire post-verità.

Cos’è la post-verità? Secondo gli eminenti compilatori il concetto “si riferisce o denota le circostanze in cui i fatti oggettivi hanno meno influenza nell'orientare l'opinione pubblica rispetto agli appelli emotivi e alle convinzioni personali”.

Capito niente? Arriva l’esempio: se tu sei convinto che gli immigrati arrivati in Italia quest’anno siano 15 miliardi ma qualcuno ti fa amabilmente notare che sulla terra siamo sette miliardi e mezzo e quindi c’è un problemino di carattere aritmetico, tu gli molli una testata, lo accusi di essere un servo dei poteri forti e ti colleghi al sito notizievere.net per trovare conforto.

Fino a ieri l’avremmo chiamata una puttanata, oggi si chiama post-verità. Non è solo retorica. Qui la forma è sostanza, e la sostanza è decisamente preoccupante, dato il rispetto ingiustificato che si concede agli idioti. Da noi andava di moda “analfabeta funzionale” (per quanto personalmente io continui a preferire il meno elegante “imbecille") poi il maratoneta Mentana non ha fatto a tempo a coniare la parola webete, incisiva ed efficace, che dall’Inghilterra - patria del politicamente corretto – se ne sono usciti con la post-verità, accidenti a loro.

Che si chiami imbecille o post-sincero, il tipo di lettore che compra il giornale solo per sentire le sviolinate alla sua parte politica è vecchio come la stampa, altro che social network e generazione Y. La verità è che il problema non sta nel lettore ma nell’offerta. Da sempre i caporedattori cercano di rispettare un equilibrio tra l’informazione e il compiacimento del pubblico, ma ora che il caporedattore si chiama Google la situazione è sfuggita di mano.

"Vuoi una risposta, non miliardi di pagine web. Gli algoritmi sono programmi informatici che cercano indizi per restituirti esattamente ciò che desideri." (Google)

Il meccanismo è molto semplice: si parte dall’assunto che, su internet, il prodotto in vendita non è il contenuto della pagina ma il lettore. Partendo da questo semplice assioma è evidente che il mercato più vasto del pianeta sia quello dei post sinceri, la cui madre, si sa, è sempre gravida; questo democraticissimo esercito di minus habentes è in costante navigazione tra i marosi del web e non fa altro che decidere cosa gli piace e cosa invece gli fa schifo, mentre Google registra le preferenze e regala visibilità ai contenuti di maggior successo, trasformandoli in verità.

Voi che siete dotati di qualche sinapsi funzionante avrete già capito come questo meccanismo terribile faccia si che l’offerta si appiattisca sistematicamente e senza equilibrio verso quella larga maggioranza post sincera. Il mondo non sta diventando più stupido, gli stupidi sono sempre stati lì; prima si lasciavano berciare sui banconi dei bar, oggi si ascoltano e si accontentano per poterli mungere meglio. Ecco perché sempre più la società si polarizza tra "intellettuali buonisti e radical chic" e "laggente". Ognuno sente solo quello che vuole sentire e legge solo quello che già pensava. Benvenuti nel mondo dell'informazione web.

 

Non ho risposto, dici, caro il mio cervello di gallina, alla domanda “chi ti credi di essere?”.

La risposta è la più diretta conseguenza della genialata dell’Oxford Dictionary: se la stronzata diventa post verità, allora anche l’ultimo degli stronzi può scrivere un articolo. Tanto piacere.


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