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Così l'economia del clic ha sputtanato il giornalismo

"Le parole sono importanti!" urlava Nanni Moretti a bordo piscina, schiaffeggiando la povera giornalista colpevole di non saper trovare le parole giuste, perché "chi parla male pensa male." Sono passati quasi trent'anni da Palombella Rossa, e da allora sono comparsi i social, pistola alla tempia dello spirito critico occidentale.

Andiamo subito al sodo.

Chiunque abbia cercato lavoro nel mondo della comunicazione di certo si è trovato a sbattere il muso su termini orribili come "trend", "virale", "wording"... Sono strumenti di lavoro per chi vende e compra visibilità sui social, pubblicità online, contenuti sponsorizzati, insomma per chi opera in un'economia basata sul richiamo dell'attenzione e sull'assenza di contenuto. In una parola, sul "clickbaiting".

Gli addetti ai lavori della comunicazione web considerano il clickbaiting come un prodotto umile, quasi uno scarto, necessario però a far girare l'economia del click, e dunque indispensabile per tenersi a galla.

Un peccatuccio del tipo

"I consigli più assurdi su come portare una donna all'orgasmo (il settimo è davvero incredibile!)"

non sarà certo elegante, ma che danno potrà mai arrecare alla società...

Non si tratta certo di una famigerata "fake news", una notizia inventata ad arte per manipolare l'opinione pubblica attraverso luoghi comuni e discorsi populisti... certo, il livello di disonestà intellettuale non è lo stesso, però la tecnica si. E non è un dettaglio.

Dov'è il confine tra postare una notizia falsa e presentarne una vera con un titolo (o un wording) completamente distorto per renderla più "appealing"?

Se stiamo addestrando milioni di lettori a non leggere il testo degli articoli, perché siamo troppo terrorizzati di annoiare e quindi perdere un utente, qual'è la differenza tra l'etichetta e il contenuto?

Come possiamo pretendere che il lettore/utente, abituato più ai banner che ai concetti, cambi completamente atteggiamento in base al contenuto che si ritrova di fronte?

Perché un'analisi geopolitica sulla guerra civile siriana dovrebbe meritare un grado di attenzione maggiore rispetto alle "10 spiagge più belle delle Filippine"?

La risposta a queste domande racchiude il presente e il futuro del giornalismo e quindi dell'opinione.

In breve: con l'avvento dei social e dell'economia del clic sono cadute quelle differenze di valore che esistevano nella carta stampata, un mondo ormai morente in cui tutti riconoscevano la differenza tra le pagine patinate di una rivista e un trafiletto d'opinione di Montanelli.

Oggi, al contrario, tutti i grandi quotidiani, storicamente così indispensabili nel creare un'identità sociale e una consapevolezza politica ai cittadini, postano sui social un articolo ogni 10 minuti (di media) senza distinzione di tono e di argomento, vale a dire che un approfondimento di interesse politico nazionale viene pubblicato con gli stessi tempi e le stesse modalità di uno "scoop" sul nuovo tatuaggio di Fedez.

Se, dunque, anche i professionisti dell'informazione hanno perso il valore della notiziabilità, non si può pretendere che i lettori abbiano la maturità necessaria per sapersi destreggiare tra l'oceano di pubblicazioni, distinguendo informazione seria, fake news, clickbaiting e semplice gossip.

Come conseguenza diretta di tale confusione c'è da una parte il proliferare di contenuti virali pagati a peso d'oro che, come si dice, aiutano gli organi di stampa a sostenersi economicamente, dall'altra parte una svalutazione generale dell'informazione, considerata inutile (nel migliore dei casi) o strumento dei "poteri forti", e una criminalizzazione del ruolo del giornalista.

Il circolo vizioso dell'informazione è connaturato al meccanismo dell'economia del clic, in cui l'utente/lettore è contemporaneamente il cliente del giornale e il prodotto in vendita dei pubblicitari, che comprano e vendono i suoi clic come fossero valuta corrente. Il lettore non è più solamente il destinatario di un'informazione più o meno autorevole, ma diventa l'arbitro di quello che "funziona" o "non funziona", un cliente che deve essere compiaciuto e accontentato con prodotti che lo attirino all'interno del sito, con lì'unico scopo di vedere un banner.

Così il giornalismo diventa clickbaiting, il lettore diventa un clic, il giornalista diventa un pubblicitario, e tutti diventiamo, giorno dopo giorno, un po' più stupidi.


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