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Renzi, Macron e l'Internazionale della fuffa

Cosa avrà pensato Renzi seguendo in tv i risultati del primo turno delle presidenziali francesi vinto da Macron? Forse un piccolo rimorso per non avere avuto più coraggio in passato, vedendo come l’azzardo del giovane banchiere francese sia riuscito alla perfezione.

 

Si, perché le storie politiche di Renzi e Macron hanno moltissimi punti in comune: entrambi hanno mosso i primi passi in politica all’interno dei grandi partiti di sinistra ed entrambi si sono accorti che questi partiti tradizionali avevano cominciato a stare stretti, e proprio qui sta la differenza tra il toscano e il transalpino: Renzi ha deciso di scalare il partito e si è impantanato nelle diatribe interne tra frondisti e secessionisti, mentre Macron ha deciso di defilarsi, non entrare nella lotta delle primate del Partito Socialista, e creare un'apparente novità politica.

I risultati hanno dato ragione al coraggio di Macron di affrancarsi da un simbolo, quello del PS, che dopo la presidenza Hollande ha ormai un sapore stantìo, mentre, da questa parte delle Alpi, Renzi si trova a dover tenere alta la bandiera di un PD sempre più strappato di fronte alle ondate della marea a 5 Stelle che ormai arrivano a sfiorare la linea di guardia del 40%.

La verità è che entrambi questi giovani leader rappresentano due diverse tecniche per la stessa operazione di marketing: un rebranding, un radicale cambio di immagine (e solo di immagine) dei vecchi partiti di centro-sinistra ormai percepiti come “la vecchia politica”.

Molto semplicemente: una tecnica ha funzionato, l’altra no.

A guardar bene l’immagine del Macron innovatore e rottamatore, l’unico capace di ridare fiducia in un sistema che i malvagi populisti cercano di distruggere, l’unico a tenere viva la fiamma del sogno europeo, è solo una facciata sottilissima che si sgretola subito di fronte al suo passato recente.

Macron è un prodotto dell’ENA, l’Ecole National d’Administration, che rappresenta la fucina per eccellenza per la classe dirigente francese; ha fatto strada nel settore finanziario, diventando socio della banca Rothschild & Cie nel 2010, grazie a una transazione che gli consente di guadagnare una fortuna milionaria. La sua esperienza politica è legata a doppio filo con il Partito Socialista, in cui entra a ventiquattro anni e che gli consente di diventare prima Segretario alla presidenza della Repubblica e poi ministro delle finanze del governo Valls.

Con l’avvicinamento delle elezioni presidenziali Macron ha lanciato l’operazione rebranding.

Alla fine del quinquennato di Hollande il bisogno di salvare le apparenze del PS è venuto meno, Macron si è defilato mentre le primarie assegnavano il ruolo dell’agnello sacrificale al povero Benoit Hamon, prontamente abbandonato da tutti i quadri del partito nel nome del voto utile. Il risultato è un PS svuotato e ridotto alla figura di Hamon con il cerino in mano, mentre i suoi quadri e i suoi elettori si sono avvicinati o sono confluiti nella nuova creazione En Marche!, di fatto una versione 2.0 del Partito Socialista, più giovane, più social, più cool.

E chi non gradisce? Voti Mélénchon! Niente frondisti, niente scissionisti.

La politica del nuovo corso di questo nuovo En Marche/PS è, di fatto, la versione francese della politica dello story telling di renziana memoria, un modo di fare politica in cui “non conta il programma ma la visione”, che non è né di destra né di sinistra, che è fatto essenzialmente di tweet e di post ed è completamente vuoto di contenuti. Un vuoto che può essere riempito con quel che si preferisce, soprattutto con la paura per il populismo altrui.

Insomma, l'internazionale della fuffa sta prendendo forma, vive sui social e si alimenta di "voto utile" e di "meno peggio".

Il nuovo volto dell'establishment è servito.


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